Introduzione
Parlare di valore economico dell’emotività ha un senso logico o è un ossimoro?
La risposta deve partire dal significato di “valore economico”. La letteratura fornisce, a tale proposito, numerose interpretazioni la cui differenziazione è sostanzialmente determinata dall’ottica di riferimento: finanza, prodotto o servizio, azienda nel complesso, ecc.
Qualunque sia la definizione si può, però, sintetizzare il concetto di valore economico in un qualsiasi risultato quantificabile monetariamente.
Tutto qui? Certamente è l’obiettivo di qualsiasi attività lavorativa, ma un’Organizzazione lo può raggiungere se le Persone (non a caso individuate come Risorse Umane o Capitale Umano) che la compongono agiscono in modo adeguato, ossia efficace ed efficiente.
Troppo spesso, per semplificare la gestione delle Risorse Umane ed evitare di affrontare la complessità dell’universo “persona”, i vertici delle Organizzazioni, sottovalutando l’impatto delle emozioni sui comportamenti e quindi sull’attività lavorativa, tendono a impostare strategie organizzative concentrate sui processi e sulle sole competenze “tecniche” necessarie per realizzarli.
Il tener conto delle aspettative delle persone, l’avere comportamenti relazionali etici – magari oggetto di Politiche per le Risorse Umane, tanto ben scritte quanto solo di facciata – sono spesso ritenuti esercizi di mera generosità imprenditoriale, come una donazione, quasi un lusso, non una componente necessaria per ottenere l’efficacia e l’efficienza, cioè il valore economico.
Si tratta di un approccio che trova – o meglio ha sempre trovato – giustificazione nella separazione netta tra ragione ed emozioni, considerando questi due fattori antagonisti e il secondo limitante e fuorviante per il buon funzionamento del primo.
La presunta dicotomia tra ragione ed emozioni ha profonde radici nel passato ed è sempre stata espressa dalla trasposizione anatomica dei due ambiti:
- sede della ragione g il cervello
- sede delle emozioni g il cuore.
Il Dizionario dei modi di dire della Hoepli esprime molto bene questo concetto:
“Il cuore è stato eletto a sede dei sentimenti, delle emozioni, degli impulsi spontanei e delle facoltà affettive, in contrapposizione al cervello che rappresenta il pensiero, l’intelligenza, il senno e la facoltà raziocinante. Un tempo nel cuore si ponevano anche il valore in battaglia e il coraggio in generale”
Era un pensiero così consolidato da essere considerato valido anche da pensatori/filosofi: François de La Rochefoucauld diceva infatti “La mente si lascia sempre abbindolare dal cuore”. Affermazione che, però, nella distinzione tra i due fattori condizionanti il comportamento umano ne individua l’interazione e, tendenzialmente, la supremazia dell’emotività sulla ragione.
Il passaggio verso la consapevolezza della convergenza funzionale tra ragione ed emozioni si trova in una frase del 1995 di Nelson Mandela: “Una buona testa e un buon cuore sono sempre una combinazione formidabile”. Nella quale permane il ricorso alle due parti anatomiche – testa e cuore – ma come comoda metafora per esprimere il concetto.
L’unione fa la forza
Partiamo dalla citazione del poeta e filosofo libanese Kahlil Gibran per iniziare l’esplorazione della relazione tra ragione ed emozioni:
“Ragione e passione sono timone e vela della nostra anima navigante”.
Il poeta ha evidentemente attribuito al termine passione la connotazione positiva di fattore emotivo coinvolgente e stimolante e non il significato etimologico che richiama una condizione di sofferenza.
L’intuizione del poeta trova piena conferma dall’esame di come si caratterizzano i due emisferi del cervello e, perciò, come incidono sui comportamenti.
- L’emisfero sinistro sovrintende a:
| razionalità logica linearità linguistica analisi matematica | a la GUIDA |
| | |
- L’emisfero destro sovrintende a:
| immaginazione creatività intuizione visione globale collocazione spazio/temporale emotività | a la SPINTA |
I collegamenti neurali tra i due emisferi e, più in generale tra tutte le parti del cervello sono sempre attivi e determinano un continuo moto di azione/reazione: una sorta di frenetico pingpong, nel quale ogni colpo di pallina induce un cambiamento nel colpo successivo.
Risulta, perciò, evidente che i due fattori – ragione ed emotività – hanno un legame indissolubile e che trattarli separatamente ha senso solo nell’ottica di arrivare al loro utilizzo più completo, affrontandoli come due elementi in ingresso del “processo comportamentale”: il proprio e, per quanto oggetto di relazione, quello degli altri.
La catena del valore
Il concetto di valore economico, sintetizzato nell’introduzione, necessita di essere riconsiderato e ampliato, procedendo in due direzioni che non sono parallele, ma strettamente intersecanti:
- i risultati aziendali sono il frutto dei comportamenti (azioni) delle persone;
- le persone devono, perciò, essere in condizioni di agire in modo da ottenere i risultati = operare con efficacia ed efficienza.
Questa seconda direzione dovrebbe essere la conseguenza logica della prima, ma in realtà è molto spesso più predicata che applicata concretamente.
La rappresentazione grafica rende più facilmente visibile il percorso:
PROCESSI
Questo percorso manifesta un ulteriore elemento di riflessione, molto importante: la necessità della coincidenza tra obiettivi aziendali e obiettivi personali: il raggiungimento dei secondi è propedeutico al raggiungimento dei primi. Non solo: in una situazione ottimale il collegamento tra le due categorie di obiettivi finisce per essere circolare, cioè in costante rafforzamento l’una dell’altra.
Esiste, ed è piuttosto diffusa, l’idea che possa nascere un contrasto di interessi tra gli obiettivi aziendali (es. il risultato economico/finanziario) e gli obiettivi personali (la soddisfazione dei propri fabbisogni). Fabbisogni che prendendo a prestito la teoria di Alderfer possono essere catalogati come bisogni di esistenza, bisogni di relazione, bisogni di crescita.
Si deve ritenere che questo rischio di contrasto sia ineluttabile? La risposta è NO!
Questo perché, come visto, il raggiungimento dei risultati aziendali e il loro continuo miglioramento sono strettamente e assolutamente dipendenti dalla “persona” (es. il Manager) e non da una figura esperta, dedita asetticamente ad attività tecniche come una qualsiasi attrezzatura robotica, ininfluente sulla relazione con le altre persone coinvolte.
Ecco, perciò, che il percorso circolare di interdipendenza risulta tanto più proficuo quanto più la “persona” riesce a mettere in campo tutta la propria potenzialità: il pieno utilizzo delle capacità razionali esaltate dalle spinte emotive.
Sono proprio le spinte emotive che hanno una grandissima influenza sui comportamenti, pertanto sulla qualità delle azioni che le competenze tecniche consentono di realizzare. Tale influenza può indirizzarsi su due strade opposte: una strada limitante e una strada potenziante.
La prima strada è generalmente conseguenza di una gestione meramente istintiva dell’emotività o, per contro, dallo sforzo di bloccarla, vivendola come un’interferenza fastidiosa.
La seconda strada si apre quando prende concretezza applicativa (e continuativa) la consapevolezza che emotività e razionalità sono entrambe risorse e, come tali, vanno fatte fruttare, coltivandole con cura e sistematicità e per farlo con successo occorre conoscerle, valutarle e alimentarle.
Si tratta di attività che risultano normali per la razionalità, mentre sono affrontate con diffidenza o addirittura non affrontate per l’emotività.
In altri termini è diffusa la tendenza a considerare come fattore facilmente modificabile e migliorabile la ragione, e invece a considerare fattore difficile da modificare l’emotività. Quanto spesso si sente dire: cosa vuoi, sono fatto così”.
Che i due ambiti presentino difficoltà diverse è esperienza di tutti e di tutti i giorni. Non occorre ricorrere a studi o a esperti per averne coscienza: basta un minimo di analisi di sé e degli atri.
L’emotività strutturata
L’emotività, nonostante la complessità, può essere affrontata con modalità atte ad ottenerne il miglioramento.
Nello specifico del Manager, è molto importante considerare questa funzione come una medaglia a due facce, tutte e due necessarie e completamente interdipendenti: la faccia che riguarda il sé e la faccia che riguarda gli altri – collaboratori, colleghi, superiori, ecc.
Il Manager consapevole dell’enorme potenza dell’emotività, deve affrontare il percorso per migliorare la propria e creare le condizioni per consentire a tutti gli interlocutori di fare altrettanto.
Come? Affrontando il miglioramento come un processo, perciò definendo:
- gli obiettivi: gli aspetti dell’emotività necessari o utili per lo svolgimento del proprio lavoro, ivi compresi quelli relativi alle relazioni interpersonali;
- le risorse necessarie: il livello necessario per ciascun aspetto;
- le risorse disponibili: il livello disponibile (autovalutazione);
- le azioni per colmare le lacune: es. formazione, studio, coaching, allenamento;
- la verifica: il controllo che le azioni siano risultate efficaci;
- gli aggiustamenti: le azioni per supplire all’eventuale inefficacia;
- la sistematicità: la pianificazione nel tempo per garantirsi il costante aggiornamento e il miglioramento continuo.
Si tratta di un unico processo, in quanto attiene a condizioni di fondo valide per tutti, come ampiamente dimostrato dai recenti studi delle neuroscienze applicate al contesto lavorativo con particolare riferimento al management. È, però, un processo che, pur basandosi su una linea strategica comune, richiede metodiche applicative personalizzate.
La conseguenza per il Manager, è in primo luogo, la necessità di aggiungere alle proprie competenze anche la competenza emotiva, ossia l’insieme di conoscenze e abilità per conoscere e guidare il coacervo delle emozioni, all’apparenza, disordinato e anche un po’ infido.
In effetti si tratta di un insieme molto complicato, del quale ciascuno ha esperienza diretta e costante, ma che risulta difficile inquadrare e, soprattutto, ricondurre a schemi con un chiaro rapporto tra causa ed effetto, come accade per i fenomeni fisici e chimici.
La risposta più usuale a questa difficoltà oggettiva è quella di tralasciare la faccia che riguarda il sé e semplificare la faccia che riguarda gli altri, concentrando la gran parte dell’attenzione agli aspetti comunicativi, rischiando di confondere il mezzo con il fine.
Il Manager non può più limitarsi a questo o a poco altro: deve entrare nel merito di come generare le emozioni costruttive e come ridurre le distruttive dei componenti del suo team e, per far questo, deve prima ancora lavorare su sé stesso con questo obiettivo.
Così può essere certo di poter perseguire la soddisfazione degli obiettivi personali – propri e degli altri – che sono alla base del miglioramento di efficacia ed efficienza, cioè degli obiettivi aziendali.
Questo processo oggi può essere significativamente guidato dalle scoperte delle neuroscienze, riducendone l’aleatorietà, potendolo configurare con la logica usualmente applicata per affrontare proficuamente i processi
Occorre tenere conto che la valutazione delle caratteristiche emotive necessarie per il ruolo nel contesto e, soprattutto, l’autovalutazione sono il cardine, ma anche la difficoltà: richiedono obiettività, curiosità intellettuale, etica relazionale e approccio olistico, senza limiti pregiudiziali e tentativi di scorciatoie.
Conclusioni
Il percorso nell’elenco sopra riportato porta a inquadrare e a gestire l’emotività in maniera decisamente strutturata, consentendo perciò di costruire quella che può essere definita:
Intelligenza Emotiva
in quanto porta a dare alle emozioni effettiva consistenza di risorse e a trattarle come competenze.
Si può, pertanto, ritornare al focus di tutto il discorso, ossia al valore economico:
- Pieno utilizzo delle proprie potenzialità
| a capacità di guida a energia data dalla spinta propulsiva |
- Miglioramento del proprio benessere, anche in situazione critiche
| a maggiore concentrazione a minore stress |
- Miglioramento delle relazioni
| a più collaborazione a meno conflitti |
tab. 3
I vantaggi conseguenti interessano le due aree coinvolte:
| | |
| + produttività + qualità | = risultati economici e rafforzamento commerciale |
| | |
| + soddisfazione + qualità della vita | = risultati professionali e relazionali |
tab. 4
Inquadrare l’intelligenza emotiva come competenza determina che, come tutte le competenze, si esprime in capacità, quali:
- gestire l’umore
- automotivarsi
- utilizzare l’intuizione
- saper trattare le sconfitte
- gestire l’energia
- evitare dipendenza
- ecc.
E può essere:
- acquisita
- implementata
- verificata sistematicamente
- rinforzata
- diffusa
L’ultimo azione – la diffusione – è di particolare rilievo per un Manager in quanto gli consente di costruire un team capace di lavorare con efficacia ed efficienza, anche quando questo team non è fisso ma formato specificatamente per un progetto o una condizione temporanea.
È importante considerare che la diffusione non si basa sulla semplice esposizione concettuale, ma si costruisce con l’applicazione sistematica, quotidiana, talvolta coraggiosa, della competenza emotiva, inducendo un effetto trainante che è il solo realmente efficace.